Certo quando si arriva a Palmira, l’impatto con le sue meraviglie archeologiche, con le sue colonne, con i suoi templi che affiorano piantati da millenni nel mezzo del deserto siriano, con la stessa superbia della loro regina Zenobia, si è appagati al punto da lasciare il verde scuro e fermo dei palmeti poco oltre, solo come sfondo esotico di tanta bellezza. Invece l’oasi di Palmira è un’esperienza in sé. E comunque già il vedere i templi da dietro gli alti ombrelli delle palme merita l’allungarsi in una passeggiata tra i muri di pietra e fango che nascondo i segreti giardini dell’oasi. Kahtan, mi saluta mentre guardo i rami carichi di melograni acerbi che si piegano fuori dagli orli dei muri e ci invita nel suo giardino. Non immaginavo che nell’oasi ci fossero tanti diversi giardini e in effetti sono nascosti alla vista di chi passa, per questo è necessario un invito. Ci accomodiamo all’ombra di una larga tettoia di tronchi e di rami di palme secche. Kahtan accende un fuoco per il tè alla cannella, poi si siede con noi e ci porta delle olive e un delizioso sciroppo di datteri. Ci spiega che l’acqua della falda viene erogata a turno in ogni giardino attraverso un sistema di canali che scorrono lungo i muri di cinta e poi ci mostra le sue piante. Le palme, prima di tutto, tante, in alto, lì a raccogliere il sole più duro e a dare datteri e ombra. Poi, sotto, gli ulivi, larghi su una terra chiara indistinguibile dalla sabbia, e i melograni che fuggono festosi dalle recinzioni. In basso, delle tenere piante di cotone appena germogliate. Il tè è pronto. I bicchierini di vetro sono sistemati su un tronco di palma che fa da tavolino. Anche i datteri sono dolcissimi. Kahtan tira fuori una sorta di taccuino dove annota in caratteri arabi la pronuncia di alcune parole nelle lingue di chi viene a trovarlo, in modo da memorizzarne il suono. In genere sono tedeschi o inglesi quelli che si avventurano tra i sentieri dell’oasi. Ci serve ancora del tè e apre un bel libro francese sulla Siria in cui c’è una sua foto nel capitolo dedicato a Palmira: Palmyre. Le Bédouin Kahtan et la palmeraie. Quando andiamo via dal suo giardino, portiamo con noi un piccolo pacco con i datteri di quel pezzo di oasi e, negli occhi, i gesti eleganti di Kahtan, flessuoso nella sua tunica chiara, con la sua kefiah rossa dietro i rami degli ulivi.
giovedì 24 settembre 2009
I giardini segreti di Palmira in Siria
Certo quando si arriva a Palmira, l’impatto con le sue meraviglie archeologiche, con le sue colonne, con i suoi templi che affiorano piantati da millenni nel mezzo del deserto siriano, con la stessa superbia della loro regina Zenobia, si è appagati al punto da lasciare il verde scuro e fermo dei palmeti poco oltre, solo come sfondo esotico di tanta bellezza. Invece l’oasi di Palmira è un’esperienza in sé. E comunque già il vedere i templi da dietro gli alti ombrelli delle palme merita l’allungarsi in una passeggiata tra i muri di pietra e fango che nascondo i segreti giardini dell’oasi. Kahtan, mi saluta mentre guardo i rami carichi di melograni acerbi che si piegano fuori dagli orli dei muri e ci invita nel suo giardino. Non immaginavo che nell’oasi ci fossero tanti diversi giardini e in effetti sono nascosti alla vista di chi passa, per questo è necessario un invito. Ci accomodiamo all’ombra di una larga tettoia di tronchi e di rami di palme secche. Kahtan accende un fuoco per il tè alla cannella, poi si siede con noi e ci porta delle olive e un delizioso sciroppo di datteri. Ci spiega che l’acqua della falda viene erogata a turno in ogni giardino attraverso un sistema di canali che scorrono lungo i muri di cinta e poi ci mostra le sue piante. Le palme, prima di tutto, tante, in alto, lì a raccogliere il sole più duro e a dare datteri e ombra. Poi, sotto, gli ulivi, larghi su una terra chiara indistinguibile dalla sabbia, e i melograni che fuggono festosi dalle recinzioni. In basso, delle tenere piante di cotone appena germogliate. Il tè è pronto. I bicchierini di vetro sono sistemati su un tronco di palma che fa da tavolino. Anche i datteri sono dolcissimi. Kahtan tira fuori una sorta di taccuino dove annota in caratteri arabi la pronuncia di alcune parole nelle lingue di chi viene a trovarlo, in modo da memorizzarne il suono. In genere sono tedeschi o inglesi quelli che si avventurano tra i sentieri dell’oasi. Ci serve ancora del tè e apre un bel libro francese sulla Siria in cui c’è una sua foto nel capitolo dedicato a Palmira: Palmyre. Le Bédouin Kahtan et la palmeraie. Quando andiamo via dal suo giardino, portiamo con noi un piccolo pacco con i datteri di quel pezzo di oasi e, negli occhi, i gesti eleganti di Kahtan, flessuoso nella sua tunica chiara, con la sua kefiah rossa dietro i rami degli ulivi.
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Bellissime foto, grazie per le emozioni.
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